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Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 2010.
- La Chiesa è luogo e segno della permanenza di Gesù Cristo nella storia. Anche nel suo compito educativo, come in tutto ciò che essa è e opera, attinge da Cristo e ne diventa discepola, seguendone le orme, grazie al dono dello Spirito Santo.
- La Chiesa educa in quanto madre, grembo accogliente, comunità di credenti in cui si è generati come figli di Dio e si fa l’esperienza del suo amore. Avendo il compito di servire la ricerca della verità, la Chiesa è anche maestra. Essa «per obbedire al divino mandato: ‘Istruite tutte le genti’ (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente ‘affinché la parola di Dio corra e sia glorificata’ (2Ts 3,1)… Per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana» (CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Dignitatis humanae, n. 14.).
- La Chiesa promuove nei suoi figli anzitutto un’autentica vita spirituale, cioè un’esistenza secondo lo Spirito (cfr Gal 5,25). Essa non è frutto di uno sforzo volontaristico, ma è un cammino attraverso il quale il Maestro interiore apre la mente e il cuore alla comprensione del mistero di Dio e dell’uomo: lo Spirito che «il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). Lo Spirito forma il cristiano secondo i sentimenti di Cristo, guida alla verità tutta intera, illumina le menti, infonde l’amore nei cuori, fortifica i corpi deboli, apre alla conoscenza del Padre e del Figlio, e dà «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». La formazione spirituale tende a farci assimilare quanto ci è stato rivelato in Cristo, affinché la nostra esistenza possa corrispondere ogni giorno di più al suo dono: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). L’azione dello Spirito plasma la vita in questa prospettiva: «Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio».
Rinati nel battesimo per mezzo dello Spirito Santo, possiamo camminare in una vita nuova, liberi dalla schiavitù del peccato e resi capaci di amare Dio e i fratelli con lo stesso amore di Cristo: «camminate secondo lo Spirito – ci esorta San Paolo – e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste» (Gal 5,16-17). I santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio, cogliendo il frutto dello Spirito, che è «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Promuovere un’autentica vita spirituale risponde alla richiesta, oggi diffusa, di accompagnamento personale. Si tratta di un compito delicato e importante, che richiede profonda esperienza di Dio e intensa vita interiore. In questa luce, devono essere attentamente vagliati i segni di risveglio religioso presenti nella società: essi possono rivelare l’azione dello Spirito e la ricerca di un senso che dia unità all’esistenza.
- Ogni Chiesa particolare dispone di un potenziale educativo straordinario, grazie alla sua capillare presenza nel territorio. In quanto luogo d’incontro con il Signore Gesù e di comunione tra fratelli, la comunità cristiana alimenta un’autentica relazione con Dio; favorisce la formazione della coscienza adulta; propone esperienze di libera e cordiale appartenenza, di servizio e di promozione sociale, di aggregazione e di festa.
- In Gesù, maestro di verità e di vita che ci raggiunge nella forza dello Spirito, noi siamo coinvolti nell’opera educatrice del Padre e siamo generati come uomini nuovi, capaci di stabilire relazioni vere con ogni persona. È questo il punto di partenza e il cuore di ogni azione educativa. Una delle prime pagine del Vangelo secondo Giovanni ci aiuta a ritrovare alcuni tratti essenziali della relazione educativa tra Gesù e i suoi discepoli, fondata sull’atteggiamento di amore di Gesù e vissuta nella fedeltà di chi accetta di stare con lui (cfr Mc 3,14) e di mettersi alla sua sequela.
Giovanni Battista posa il suo sguardo su Gesù che passa e lo indica ai suoi discepoli. Due di loro, avendo udito la testimonianza del Battista, si mettono alla sequela di Gesù. A questo punto, è lui a volgersi indietro e a prendere l’iniziativa del dialogo con una domanda, che è la prima parola che l’evangelista pone sulle labbra del Signore.
«Che cosa cercate?» (1,38): suscitare e riconoscere un desiderio. La domanda di Gesù è una prima chiamata che incoraggia a interrogarsi sul significato autentico della propria ricerca. È la domanda che Gesù rivolge a chiunque desideri stabilire un rapporto con lui: è una “pro-vocazione” a chiarire a se stessi cosa si stia cercando davvero nella vita, a discernere ciò di cui si sente la mancanza, a scoprire cosa stia realmente a cuore. Dalla domanda traspare l’atteggiamento educativo di Gesù: egli è il Maestro che fa appello alla libertà e a ciò che di più autentico abita nel cuore, facendone emergere il desiderio inespresso. In risposta, i due discepoli gli domandano a loro volta: «Maestro, dove dimori?». Mostrano di essere affascinati dalla persona di Gesù, interessati a lui e alla bellezza della sua proposta di vita. Prende avvio, così, una relazione profonda e stabile con Gesù, racchiusa nel verbo “dimorare”.
«Venite e vedrete» (1,39): il coraggio della proposta. Dopo una successione di domande, giunge la proposta. Gesù rivolge un invito esplicito («venite»), a cui associa una promessa («vedrete»). Ci mostra, così, che per stabilire un rapporto educativo occorre un incontro che susciti una relazione personale: non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere. I due discepoli si rivolgono a Gesù chiamandolo Rabbì, cioè maestro: è un chiaro segnale della loro intenzione di entrare in relazione con qualcuno che possa guidarli e faccia fiorire la vita.
«Rimasero con lui» (1,39): accettare la sfida. Accettando l’invito di Gesù, i discepoli si mettono in gioco decidendo d’investire tutto se stessi nella sua proposta. Dall’esempio di Gesù apprendiamo che la relazione educativa esige pazienza, gradualità, reciprocità distesa nel tempo. Non è fatta di esperienze occasionali e di gratificazioni istantanee. Ha bisogno di stabilità, progettualità coraggiosa, impegno duraturo.
«Signore, da chi andremo?» (6,68): perseverare nell’impresa. L’itinerario educativo dei discepoli di Gesù ci conduce a Cafarnao (cfr 6,1-71). Dopo aver ascoltato le sue parole esigenti, molti si erano scoraggiati e non erano più disposti a seguirlo. Il loro abbandono suscita la reazione di Gesù, che pone ai Dodici una domanda sferzante: «Volete andarvene anche voi?» (6, 67). I discepoli misurano così il prezzo della scelta. La relazione con Gesù non può continuare per inerzia. Ha, invece, bisogno di una rinnovata decisione, come dichiara pubblicamente Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (6, 68-69). Egli solo ha parole che rendono la vita degna di essere vissuta.
«Signore, tu lavi i piedi a me?» (13,6): accettare di essere amato. Nel Cenacolo, prima della festa di Pasqua, la relazione di Gesù con i discepoli vive un nuovo e decisivo passaggio quando questi apre il suo animo compiendo il gesto della lavanda dei piedi (cfr 13,2-20). L’evangelista prepara il lettore al sorprendente racconto con un’espressione che ricapitola tutta la vita di Gesù: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (13,1). La lavanda dei piedi è un gesto rivoluzionario che rovescia i rapporti abituali tra maestro e discepoli, tra padrone e servi. Il rifiuto di Pietro di farsi lavare i piedi lascia intuire l’incomprensione del discepolo davanti a un’iniziativa così sconvolgente e lontana dalle sue aspettative. Pietro fa fatica ad accettare di essere in debito: è arduo lasciarsi amare, credere in un Dio che si propone non come padrone, ma come servitore della vita. È difficile ricevere un dono con animo libero: nell’atto di essere “lavato” da Cristo, Pietro intuisce di dovergli tutto.
«Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13,34): vivere la relazione nell’amore. Prima di congedarsi dai suoi, Gesù consegna loro il suo testamento. Tra le sue parole spicca il comandamento dell’amore fraterno (cfr 13,34-35; 15,9-11). L’amore è il compimento della relazione, il fine di tutto il cammino. Il rapporto tra maestro e discepolo non ha niente a che vedere con la dipendenza servile: si esprime nella libertà del dono. Tre sono le sue caratteristiche: l’estrema dedizione («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici»: 15,13); la familiarità confidente («tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi»: 15,15); la scelta libera e gratuita («Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi»: 15,16). Il frutto di questa esperienza è la missione che Gesù affida ai suoi discepoli: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (13,35; cfr 15,12-17).
Un incontro che genera un cammino
- «Cristiani si diventa, non si nasce». Questo notissimo detto di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente educativa nella vita cristiana. Si tratta di un itinerario condiviso, in cui educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente. Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione educativa, prendono posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazioni personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione.
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Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 2010.
- L’accoglienza del dono dello Spirito porta ad abbracciare tutta la vita come vocazione. Nel nostro tempo, è facile all’uomo ritenersi l’unico artefice del proprio destino e pertanto concepirsi «senza vocazione». Per questo è importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscere la vita come dono di Dio e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore. La nostra azione educativa deve «riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura altÀ della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione» (Novo millennio ineunte, n. 31). La Chiesa attinge alla sua grande tradizione spirituale, proponendo ai fedeli cammini di santità, con un’adeguata direzione spirituale, necessaria al discernimento della chiamata.
- Lo Spirito del Signore Gesù suscita e alimenta le molteplici dimensioni dell’azione educativa. Ne richiamiamo alcune in dettaglio.
- La dimensione missionaria. «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). È lo Spirito a formare la Chiesa per la missione, la testimonianza e l’annuncio. Grazie alla sua forza, la Chiesa diventa segno e strumento della comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio, manifesta l’amore fraterno da cui ciascuno può riconoscere i discepoli del Signore (cfr Gv 13,35) e proclama in ogni lingua le grandi opere di Dio tra i popoli (cfr At 2,9-11).
- La dimensione ecumenica e dialogica. Lo Spirito è principio di unità: «un solo corpo e un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione» (Ef 4,4). Egli unisce intimamente in Cristo tutti i battezzati, suscitando in loro il desiderio della comunione visibile; ispira l’incontro tra le diverse confessioni cristiane, perché convergano verso l’unità voluta dal Signore; incoraggia il dialogo con i credenti di altre religioni e con ogni uomo di buona volontà.
- La dimensione caritativa e sociale. Il punto culminante della formazione secondo lo Spirito è l’amore: «Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla» (1Cor 13,1-2). Con la sua opera educativa la Chiesa intende essere testimone dell’amore di Dio nell’offerta di se stessa; nell’accoglienza del povero e del bisognoso; nell’impegno per un mondo più giusto, pacifico e solidale; nella difesa coraggiosa e profetica della vita e dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, in particolare di chi è straniero, immigrato ed emarginato; nella custodia di tutte le creature e nella salvaguardia del creato.
- La dimensione escatologica. L’educazione cristiana orienta la persona verso la pienezza della vita eterna. È lo Spirito che «attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,16-17). Ciò non allontana dall’impegno nelle realtà terrene, ma preserva dal cadere nell’idolatria di se stessi, delle cose e del mondo. La persona umana, infatti, «è un’unità di anima e corpo, nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente. L’essere umano si sviluppa quando cresce nello spirito, quando la sua anima conosce se stessa e le verità che Dio vi ha germinalmente impresso, quando dialoga con se stesso e il suo Creatore» (Caritas in veritate, n. 76).
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Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica. Vivere insieme per una civiltà dell’amore. Congregazione per l’educazione cattolica, 2013.
- Le principali linee d’impegno del progetto educativo sono le seguenti:
Il criterio dell’identità cattolica. La scuola cattolica è impegnata a vivere in ogni sua espressione l’identità del progetto educativo che ha in Cristo il suo fondamento. «E’ proprio nel riferimento esplicito e condiviso da tutti i membri della comunità scolastica – sia pure in grado diverso – alla visione cristiana che la scuola è “cattolica”, poiché i principi evangelici diventano in essa norme educative, motivazioni interiori e insieme mete finali» (Congregazione per l’educazione cattolica, La scuola cattolica, n.34). Da questa esplicita identità traggono senso gli altri impegni.
- Costruzione di un orizzonte comune. L’educazione può contribuire a individuare quello che vi è di universale, ciò che unisce persone differenti. Il ruolo dell’educazione oggi consiste proprio nel promuovere quel dialogo che rende possibile la comunicazione tra diversi, aiutando a “tradurre” i differenti modi di pensare e sentire. Non si tratta soltanto di realizzare un dialogo come procedura o come metodo, bensì di aiutare le persone a tornare alla propria cultura a partire dalle culture altre, cioè a riflettere su se stessi in un orizzonte di “appartenenza all’umanità”.
- Apertura ragionata alla mondialità. Una comunità educante come la scuola non formerà ai particolarismi, ma offrirà i saperi necessari per comprendere l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita da molteplici interdipendenze.
- Formazione di identità forti non perché contrapposte, ma perché, a partire dalla consapevolezza della propria tradizione e della propria cultura, si è capaci di dialogare e riconoscere l’uguale dignità dell’altro.
- Sviluppo di autoriflessività attraverso l’abitudine a ripensare le proprie esperienze, a riflettere sui propri comportamenti, a diventare maggiormente consapevoli di sé, anche attraverso l’uso di strategie cognitive e di formazione al decentramento.
- Rispetto e comprensione dei valori delle altre culture e religioni. La scuola deve divenire uno spazio di pluralismo in cui si apprende a dialogare sui significati che le persone delle diverse religioni attribuiscono ai rispettivi segni, per poter condividere valori universali quali la solidarietà, la tolleranza, la libertà.
- Educazione alla partecipazione e alla responsabilità. La scuola non deve rappresentare una parentesi della vita, un luogo puramente artificiale o semplicemente dedicato a sviluppare la dimensione cognitiva. Nel rispetto dei tempi di maturazione degli alunni e della loro libertà personale, la scuola si assume il compito di aiutarli non solo a capire la realtà sociale e culturale di vita, ma anche a favorire l’assunzione di responsabilità per migliorarla. Inoltre, proprio per l’attenzione alla integralità della persona e dell’esperienza, non limita il proprio impegno all’insegnamento diretto, ma cura la molteplicità delle dimensioni dell’esperienza degli studenti, secondo modalità informali (feste, momenti conviviali…), formali (incontri con testimoni, momenti di discussione…), esperienze religiose (momenti liturgici e di spiritualità…).
78. Per quanto riguarda una formazione particolarmente dedicata a promuovere sensibilità, consapevolezza e competenza di tipo interculturale, l’itinerario proposto dovrebbe prestare attenzione a tre fondamentali direzioni:
a) l’integrazione, che riguarda la capacità della scuola di attrezzarsi in maniera efficace per accogliere studenti di origini culturali diverse, di rispondere ai loro bisogni di riuscita scolastica e valorizzazione personale;
b) l’interazione, che riguarda il saper facilitare buone relazioni fra i pari e fra gli adulti, consapevoli che la semplice vicinanza fisica non basta, ma vanno stimolate curiosità reciproca, apertura e amicizia, sia in classe che nei luoghi e nei tempi della vita extrascolastica, prevenendo e riparando situazioni di distanza, discriminazione, conflitto;
c) il riconoscimento dell’altro, evitando di cadere nell’errore di imporsi all’altro affermando il proprio stile di vita e il proprio pensiero senza tenere conto della sua cultura e particolare situazione affettiva.