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La scuola cattolica risorsa educativa della chiesa locale per la società. Nota pastorale. Conferenza Episcopale Italiana 2014.
- Le riforme più recenti del sistema scolastico nazionale hanno fatto concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sugli ordinamenti e sulle modalità organizzative del sistema stesso più che sulla sua natura e le sue finalità educative. La scuola italiana però, se vuole essere soprattutto al servizio della persona e della sua educazione – e solo in seconda istanza interessata al mondo economico e produttivo –, dovrà necessariamente aprirsi alle situazioni nuove in cui oggi si trova. Molte di queste, ad esempio, chiedono di essere vissute nel segno dell’integrazione, come le culture di cui sono portatori i sempre più numerosi alunni provenienti da altri Paesi o le diverse condizioni di disabilità in essa rappresentate. Tali situazioni esigono di essere vissute secondo prospettive inclusive e rispettose della dignità di ogni persona, con progetti culturali e formativi attenti all’attuale contesto internazionale e sempre più caratterizzato culturalmente dalla globalizzazione.
Per far fronte a queste situazioni la scuola italiana ha cercato maggiore flessibilità, rinunciando alla rigidità strutturale e organizzativa che le derivava da antica tradizione. Così il tradizionale modello centralistico è stato superato, almeno sul piano dei principi, dalla legislazione sull’autonomia intesa, come è noto, a responsabilizzare e valorizzare le iniziative e le sensibilità locali; il paradigma statale è stato attenuato dalla normativa sulla parità scolastica e sulla istruzione e formazione professionale, che riconosce, a precise condizioni, il diritto di iniziativa scolastica a soggetti diversi dallo Stato. Il processo non si può ancora ritenere compiuto né sul versante dell’autonomia, ancora non del tutto compresa e sperimentata dalle scuole, né sul versante della parità, enunciata formalmente ma non accompagnata da un sostegno capace di renderla reale ed effettiva, né infine sul versante della istruzione e formazione professionale, che risulta ancora disomogenea quanto alla sua distribuzione sul territorio e precaria nelle risorse.
Questo è il momento del sopravvenuto riconoscimento della parità scolastica, argumentum di civiltà giuridica per il fatto che tutti i cittadini sono uguali di fronte allo Stato. Pur tra numerose contestazioni e resistenze, si è verificata una contingenza favorevole al riconoscimento del diritto umano e costituzionale della persona e delle famiglie ad avere e scegliere l’istruzione ed educazione più conforme ai propri bisogni e convincimenti.
Si è quindi concretizzata la possibilità che il sistema scolastico italiano, monopolistico, si potesse trasformare in uno più moderno, più articolato, flessibile e pluralistico, meno autoreferenziale, pertanto più efficace ed in linea con l’idea di essere al servizio dello studente.
L’effettivo pluralismo istituzionale scolastico, costituito da scuole statali e paritarie, è inoltre una realtà acquisita dalla maggior parte delle nazioni avanzate del mondo.
La scuola paritaria non pregiudica, infatti, detto pluralismo culturale, anche quando si tratta di una scuola chiaramente connotata come quella cattolica. La scuola, qualsiasi scuola, se è veramente tale, non induce forzosamente ad un acritico consenso, non persegue un indottrinamento e una passività intellettuale, non fa proselitismo, non pratica operazioni di assimilazione culturale. Viceversa, stimola al confronto critico e dialettico, alla ricerca, alla libertà di coscienza, sviluppa processi autonomi di pensiero e metodi di analisi e di valutazione rigorosamente scientifici. Non è stato dunque il riconoscimento di un privilegio in nome di un’ideologia o di un’appartenenza sociale aristocratica[1].
[1] TuttoscuolA.com. Il dodicesimo anniversario della Legge 62/2000. Un articolo di Francesco Macrì, presidente della FIDAE